Illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi (cosiddetto anatocismo)

anatocismo

La recente sentenza della Suprema Corte sull’argomento[1] ci induce alle seguenti notazioni in ordine al tema dell’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista per la declaratoria di nullità della clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (c.d. anatocismo), in particolare con riferimento al tempo a disposizione del correntista medesimo per chiedere, alla propria banca, la restituzione degli interessi non dovuti.

Anzitutto premettendo che, per anatocismo, si fa riferimento alla prassi, in ambito bancario, di operare la capitalizzazione degli interessi sugli interessi, giova ricordare che il correntista ha a sua disposizione un ampio periodo di tempo [dieci anni] per avviare la causa per la restituzione dell’anatocismo ovverosia delle somme indebitamente versate alle banche, chiedendo la rideterminazione del capitale preso in prestito mediante applicazione ad esso degli interessi passivi annuali e non di quelli trimestrali.

E a fronte della entità del contenzioso avente ad oggetto la ripetizione dell’indebito, di estrema attualità è quindi il tema dell’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito.

La pronuncia ora in commento richiama l’orientamento notorio, come di seguito: «La censura è manifestamente infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la prescrizione in ordine all’indebito sopraindicato non può che iniziare a decorrere da quando esso si è verificato e cioè non oltre dieci anni prima dalla chiusura del conto. Al riguardo si richiama la massima ufficiale della sentenza delle S.U. (n. 24418 del 2010) che ha definito la decorrenza della prescrizione in tali fattispecie: “L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”acciplens”. L’orientamento è stato costantemente seguito e, recentemente, ribadito nella pronuncia n. 10713 del 2016».

In altri e più chiari termini, il termine decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto e non dalla data di annotazione della singola operazione in conto.

Ma per comprendere la massima di cui alla sentenza delle Sezioni Unite[2] occorre tuttavia avere ben chiara la distinzione tra rimesse ripristinatorie (eseguite cioè in costanza di affidamento e nei limiti del fido concesso) e rimesse solutorie (eseguite cioè in assenza di affidamento o oltre l’affidamento concesso), per le prime iniziando a decorrere la prescrizione dalla chiusura del rapporto, per le seconde da ogni singolo addebito ritenuto illegittimo per cui è domandata la restituzione alla banca.

Per i giudici di legittimità, ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens [cliente], con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens [banca].

 

 

[1] Cass. Civ., Sez. I, 07.02.2017, n. 3190

[2] SS.UU. n.24418/2010

Cristiana Centanni

Titolare dello Studio omonimo, iscritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma dal 16 dicembre 1996 e all’Albo Speciale Cassazionisti dal 24 aprile 2009, si è occupata, subito dopo la laurea in giurisprudenza, ottenuta con lode, della materia delle opere pubbliche e del relativo contenzioso giudiziale civile, amministrativo ed arbitrale. Coltiva e pratica il diritto delle obbligazioni contrattuali in generale ed è esperta nella materia dei contratti pubblici di appalto di lavori, servizi e forniture, nel diritto civile e immobiliare. L’amore per la politica forense, specie nel difficile momento di oscurantismo che l’Avvocatura sta attraversando, hanno spinto l’Avv. Cristiana Centanni a far parte di AFEC, Associazione che, tra l’altro, si propone di sostenere quanti intendono intraprendere la professione forense, tanto affascinante quanto complessa.